UTLO Vertcal: e se fosse da rifare, rifaremmo lo stesso cammino

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Il Lago d’Orta è, da chi crede a leggende e miti considerato una versione italiana del Lago di Lockness. Pare infatti che i pescatori della zona, in passato, scorgevano code di draghi danzare sulle acque tra le fredde nebbie invernali.

Una leggenda narra che San Giulio,  volendo costruire la sua centesima chiesa, si spinse sulle sponde di questo lago e qui rimase colpito dall’isola che poi prese il nome proprio dal santo, allora territorio di draghi e serpenti.
Il santo raggiunse l’isola servendosi del proprio mantello come ponte sospeso sull’acqua.

Scacciati i draghi cominciò a costruire la sua basilica, nella quale fu poi sepolto alla morte. All’interno dell’edificio si trovano ancor oggi sculture sacre rappresentanti draghi e, nella sacrestia, c’è un antico drago in ferro battuto sopra il quale è appeso un osso delle dimensioni di un metro, che si narra fosse una vertebra di drago.

A caccia di draghi

Omegna, 14 Ottobre 2022 – Il drago campeggia anche sulla scritta UTLO che domina il village che vedrà transitare i protagonisti della tra giorni dell’Ultra Trail del Lago d’Orta, che si apre in questo venerdì pomeriggio con la gara del KM Verticale.

Anche io e il Bandyto ritiriamo i nostri pettorali e dopo le foto col lupacchiotto del Trail del Mottarone e col drago dell’UTLO, andiamo a cambiarci.

Indecisi se indossare abiti da gara di corsa in montagna o vestiti di scena da Games of Thrones per fronteggiare i lupi di casa Stark e i draghi figli di Daenerys Targaryen, puntiamo sui primi e ci riportiamo verso la partenza.

Attendiamo il pre-start che ci farà fare quasi 2 km di riscaldamento verso la vera e propria partenza situata a Cireggio (398 s.l.m.), all’imbocco del Sentiero Beltrami.

Partenza

Le partenze sono singole, a scaglioni di 30 secondi l’uno dall’altro. Parto tra gli ultimi, cosciente che la forma non è sicuramente tale da rendermi competitivo. Dietro di me Don Salvatore, non quello dell’amaro Averna, ma il parroco della Val Sermenza. 

La prima parte di salita è un lungo sentiero di gradoni lastricati che si immerge nel bosco. Ogni tanto si apre un po’ la vista verso valle, ma è perlopiù una Terra delle Ombre, come quella dove George R.R. Martin pone il luogo di nascita dei draghi, una penisola oscura, fatta di ripide montagne a picco sul mare, nelle quali grotte si nascondono demoni e draghi. La similitudine dei luoghi c’è, ma per ora i demoni sono solo interiori e li sputo fuori tra un’imprecazione e l’altra.

Padre Gentile corre agile in salita, seguito al passo dal suo pastore australiano e probabilmente con la presenza al fianco del suo “principale”. Io ansimo e sbuffo proponendo un mix tra i suoi due accompagnatori, pescando nel pozzo della mia personale blasfemia quello che nel pantheon egizio era l’incrocio tra uomo e canide che dava le sembianze a Seth.

Spero solo che il parroco non vada in crisi mistica e scambi la mia cresta di capelli per quella di una drago e si metta ad emulare San Giulio.

Procedo in preda al mio personale antropomorfismo mitologico, corpo da uomo e testa di membro maschile, attributo meritato per essermi presentato ad un vertical con settimane di scarsa attività dovuta ad un ginocchio gonfio quanto il vaso di Pandora.

Dal Santuario del Fontegno a Quarna Sopra

Raggiungiamo il Santuario del Fontegno (704 s.l.m), dove il percorso spiana e ci si può abbeverare alla fontana del piazzale. Confido nel fatto che il mio rivale di giornata si faccia prendere  dal conflitto di interessi e si fermi un po’ di più in prossimità del santuario per staccarlo.

La strada riprende a salire e la bocca ritorna arida nonostante la sosta rigenerante. Copriamo 100 metri di dislivello in 12 tornanti e si arriva a scollinare per un po’, passando su asfalto ai confini di Quarna Sopra (860 s.l.m.).

Dopo il passaggio dall’abitato spariscono per un tratto i punti di riferimento rossi costituiti da balise e bolli di vernice che ci hanno indicato il percorso fino ad ora. 

Il “Don”, che nel frattempo mi ha superato, mi chiede se sarà giusto il bivio che abbiamo preso e gli rispondo che sulla carta dovrebbe essere lui “a mostrarmi la retta via”. Ricevo in risposta che questi sono per lui sentieri sconosciuti rispetto a quelli in cui guida solitamente i fedeli, ma non posso esimermi dal controbattere che le vie del signore sono infinite!

Forse per aver tirato in ballo il suo titolare, o forse per semplice casualità lo sento comunicarmi che vede un segno. E fortunatamente è un segno relativo al percorso e non di fede.

Riprendiamo quindi a trottare meno titubanti approfittando della pendenza favorevole. 

Dall’ Alpe Preer al Monte Saccarello

Abbiamo ormai passato metà percorso e stavolta riesco io a staccare la mia guida spirituale odierna e approfitto della pendenza meno netta per prendere un po’ di ritmo. Affronto un paio di tornanti al sole per raggiungere l’Alpe Preer (982 s.l.m.)e i suoi ceppi di funghi scolpiti nel legno per poi rituffarmi nel bosco fino a raggiungere il Colle della Frera (1120 metri s.l.m.), segnalato dalla croce in ferro posta a ricordo della missione del 8-18 Marzo 1956. Alla mia sinistra si vedono in basso i due centri di Quarna e il lago d’Orta, alla mia destra il percorso continua a salire, infatti da qui inizia la parte più impegnativa della salita che porta al Monte Saccarello, a 1228 mslm.

Assorbito, molto a proposito, per intero sui cocuzzoli e di preferenza su quello poco frequentato del colle Saccarello, a cui si ascende dal borgo di Quarna Sopra, che dispone del più ameno – stupefacente, di fatto – belvedere sul lago, a circa mille metri […]

Thomas Mann, La montagna incantata (1924)

Dopo un tratto tra le felci il percorso è tutto lungo la dorsale, con a destra la parte boschiva e sulla sinistra la vista sulla vallata, che pian piano viene offuscata dalle nubi che creano una densa nebbiolina umida.

Ci sono diversi passaggi tra roccette, alcuni equipaggiati con le catene da ferrata. Affronto alcuni saliscendi, il ritmo qui è ancora più spezzettato e a livello muscolare mi rimane ben poco da spremere.

Li dove osano le aquile

Si iniziano a sentir un po’ di voci in lontananza, ormai dovrei quasi esserci. Faccio il conto alla rovescia dei metri che mancano, di 100 in 100.

Un tratto spiana e mi permette di corricchiare sperando di guadagnare qualcosa su chi mi precede, se non fisicamente, almeno a livello cronometrico viste le partenze sfalsate. Se non servirà a livello di classifica, spero che almeno serva per avere delle foto decenti visto che appare un altro fotografo sul sentiero.

Scorgo le bandiere della Vibram che individuano la zona di arrivo, ma si sale ancora su per una “scaletta” di roccette. Ultimo sforzo di questo vertical che sembra il percorso che porta al Nido dell’Aquila di casa Arryn, raggiungibile con la scalata della Lancia del Gigante, un cammino da compiere a dorso di mulo lungo un percorso in quota sempre più aspro e difficoltoso. Oggi di muli non se ne è avuto il sostegno, ma se non altro finisco di darmi dell’asino per essermi presentato senza preparazione. Ormai ci siamo.

Finalmente vedo il traguardo, la vetta, la piramide sovrastata da un’aquila che segna la cima del Monte Mazzoccone (1424 metri s.l.m.) Chiudo la mia prova con ben poche forze in corpo, senza la grinta di Stallone in Rocky 4 capace di raggiungere lo spuntone più alto della montagna e trovare le energie per gridare “Drago!!!” a mani alzate.

Un’altra leggenda molto conosciuta sulle sponde del Lago d’Orta racconta che San Giulio, arrivando nella cittadina di Omegna, venne accolto a malo modo dagli omegnesi, i quali tentarono di mandarlo via tirandogli addosso delle rape.

Il Santo si allontanò lanciando una maledizione che implicava che in questa terra non sarebbero più cresciute rape.

Ancor oggi questo tipo coltivazione è molto difficile a Omegna. E questa per me è forse una fortuna, così ho evitato di essere accolto al traguardo con lo stesso trattamento riservato a San Giulio, vista la mia prestazione.

Attendo il mio socio, partito dopo di me, e nel mentre mi cambio e mi abbevero come un cammello nel deserto nonostante la temperatura. La fatica non è ancora terminata, perchè ora bisogna raggiungere il parcheggio della navetta per il ritorno a Omegna e ci aspettano diversi chilometri di discesa.

Un ritorno movimentato

Ci mettiamo in marcia e dopo un km e mezzo raggiungiamo l’Alpe Camasca, dove c’è un mini ristoro nel quale, tra banane, arance e biscotti, la fa da padrona la Menabrea in lattina alla quale non posso dir di no.

Riprendiamo a scendere, e il Bandyto quasi si procura un’auto castrazione coi bastoncini da trekking. Giunti al bivio per Quarna Sopra o Quarna Sotto, raggiunti da altri due partecipanti, veniamo convinti a cambiare la nostra scelta perchè insistono che la navetta ci attende alla frazione di Sotto. 

Pessima scelta. Ad un certo punto della discesa perdiamo anche il sentiero e ci tocca un bel pezzo di vero off-road. Il mio compare è ancora un po’ dolorante per l’imprevisto di poco tempo prima e si consola pensando che se saremmo costretti a passare la notte persi nei boschi almeno uno degli altri due è un dottore. Gli faccio notare che potrebbe essere un dottore commercialista, o peggio ancora un veterinario esperto in sterilizzazioni feline.

Riusciamo comunque con un pò di fatica a riportarci su un tracciato segnato col quale finalmente raggiungiamo il paesino. Ormai abbiamo percorso più di 5 km dalla vetta e una scritta sul muro di un edificio indica che ad Omegna mancano ancora 7 km. Noi però confidiamo ancora nella navetta, non coscienti del nostro errore. Ma nella piazzetta non c’è nessuno ad attenderci.

Ci toccherà telefonare per farci venire a recuperare col pulmino, attendendo i nostri salvatori nel piazzale del cimitero di Quarna mentre la temperatura si abbassa man mano che diventa buio, “Winter is coming”! 

Arriviamo col buio al village, ci avvisano che per il pasta party bisognerebbe aspettare ancora mezz’ora abbondante e decidiamo quindi di tornarcene a casa a stomaco vuoto, stanchi ma soddisfatti. E come diceva il monumento sul lungo lago che abbiamo visto prima della partenza:

“…e se fosse da rifare rifaremmo lo stesso cammino”

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