RTO Trail: non può piovere per sempre…forse

Condividi

Morazzone, 17 Novembre 2019 – Cosa spinge le persone ad abbandonare il caldo del letto durante le prime ore di una fredda mattinata piovosa di Novembre? Cosa le spinge a mettersi braghe corte e scarpe sportive per andare a correre sotto l’acqua? Perchè andare a bagnarsi, infangarsi e prender freddo invece di attendere un’orario più “domenicale” e rifugiarsi al caldo di una ceffetteria per un cappuccio con brioches?

Forse la causa è, come diceva Pascoli, che “È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi”?

O forse la colpa è in quelle iscrizioni fatte d’istinto a Settembre, presi bene da gare corse nel verde e baciati da un caldo sole, come accaduto al Campo dei Fiori Trail?

Fatto sta, che ritrovandomi da tempo isritto all’RTO Trail, maledico la sveglia, agguanto un croissant e mi fiondo verso Morazzone consapevole che sarà una giornata da lupi.

Una giornata da 3F

Arrivato in zona partenza parcheggio e vado a ritirare pettorale e pacco gara che, senza contare il buono per il polenta party di fine gara, già vale il prezzo del biglietto.

Torno a cambiarmi e appena accenno a chiudere il bagagliaio incomincia a piovere di buona lena, al che decido di metter il k-way e non solo termica+canotta. A conti fatti sarà una fortuna, un po’ come infilare i guanti per la prima volta in stagione. Per il resto cerco di tenermi leggero, sapendo che più vestiti significano solo più cose bagnate da portarmi in giro sul percorso.

Riscaldamento breve, comprendente anche un po’ di esercizi di forza per aiutare due runner rimasti impantanati con l’auto. Schizzi di fango fanno da preludio alla giornata, un po’ di fatica ci mette subito a contatto con l’andazzo della mattinata ma almeno il freddo inizia a sentirsi meno. Fango, freddo e fatica. Ci terranno compagnia anche lungo il percorso.

Come lacrime nella pioggia

Non c’è più tempo per piangerci addosso ripensando al caldo del piumone. Lo speaker ci invita ad abbandonare l’accogliente, ma soprattutto asciutto portico per portarci presso il gonfiabile di partenza, un paio di minuti, countdown e…via…pronti a inseguire l’auto apripista dal bagagliaio della quale l’Arturo spara flashate con la sua reflex verso la testa del gruppo.

La prima parte di gara è abbastanza veloce, con un lungo tratto d’asfalto prima di entrare nei boschi. Mi difendo abbastanza bene in un gruppetto comprendente i primi 15-20 all’incirca. Al secondo km però incomincio a perdere posizioni. Si inizia infatti a perdere quota, e come sempre mi accade in discesa, farei far la figura di uno stambecco anche ad un ippopotamo. Mi lascio quindi sfilare senza intralciare il passo a tutti quelli più audaci di me.

Piccolo tratto in piano passando dai prati attorno all’Oratorio di San Nazzaro e Celso, con la foschia alla nostra destra che quasi nasconde gli abitati lungo la vallata dell’Olona. Poi ancora giù in picchiata per un km in zona Caronno Corbellaro, fino al club di tiro con l’arco degli Arcieri di Castiglione Olona. Riprendo ritmo appena la strada spiana e recupero qualche posizione lungo il veloce tratto che passa sulla ciclabile della Valmorea, dove le cascate dei torrenti alla nostra destra vanno a gonfiare le acque dell’Olona che serpeggia alla nostra destra.

Il Piccolo Stelvio

Abbandoniamo nuovamente lo sterrato per seguire quel serpente d’asfalto che dalla valle del fiume ci porta verso Gornate Superiore. Percorriamo infatti il Piccolo Stelvio, “salita classica del trittico lombardo”, come celebra il cartello alla sue pendici. Questa è una tappa d’obbligo per i ciclisti locali nei percorsi d’allenamento e regno dell’amico “Bisonte” Rondinelli durante le sue serie di ripetute in salita.

Il passo si accorcia e si fa più pesante man mano che l’acido lattico imballa le gambe. Battiti alti, fiato corto, ma recupero un po’ di terreno su chi mi aveva dato la paga in discesa.

Cinque tornanti e un chilometro più tardi riprendiamo a marciare tra i campi, abbandonando il bitume.

Ancora salita, tanta quanto quella affrontata sui tornanti d’asfalto, ma stavolta zigzagando tra i rigagnoli d’acqua che ci vengono incontro spinti dalla gravità a loro favore.

Tra le acque

Siamo ormai all’ottavo km, per noi della 13 km già oltre la metà di gara. 400 metri di discesa per affrontare il lprimo guado di giornata, e una volta tagliato il corso del torrente Valdessera altri 300 metri di salita per riprendere quota con strappi fino al 16%.

guado Baraggia RTO Trail 2019Passiamo dal ristoro al nono km in località Chiesa della Madonetta[mfn]Narrano le cronache che una giovinetta muta di Caronno Ghiringhello (ora Varesino) venne a raccogliere legna verso Gornate Olona, aveva sete e bevve alla sorgente che sgorga dalla ripa della cascina morosina: recuperò la parola chiamando la madre. Molte persone accorse sul luogo trovarono un sasso raffigurante la madonna sul fondo dell’acqua. Il luogo era sul confine tra Gornate Olona e Caronno Varesino, quindi per decidere dove erigere una cappella fu fatto correre un carro di mucche selvatiche. Un’altra grazia ricevuta da un uomo, che guarì la gamba ungendola con l’olio della cappella, fu l’evento decisivo che decretò l’ampliamento dell’edificio di culto in santuario nel 1650.[/mfn], dove non mi fermo, a differenza di quanto fece la giovinetta muta che nel seicento riacquisto la parola bevendo alla fonte della Cascina Morosina. Poco dopo costeggiamo lo stagno della Madonnetta, ben carico d’acqua. Inizia il finale di gara in costante e leggera ascesa ma senza più strappi impegnativi. Quindi tra una Madonnetta e l’altra abbiamo finito di smadonnare.

A lato dello stagno i percorsi della gara da 29k e di quella da 13k si dividono. Io avrei dovuto fare i 29 km, ma al ritiro pettorali avevo cambiato la mia scelta optando per la gara da 13km viste le condizioni meteo.

Poco dopo lo stagno arriva il secondo guado di giornata, sul Tenore. Un tempo, le acque del torrente raggiungevano Busto Arsizio e quando la cittadina, che ai tempi era un borgo, venne fortificata, tra il X e XI secolo, le acque del Tenore riempivano il fossato per proseguire, sotto forma di piccolo canale, fino a Piazza Santa Maria. Qui vi era la Piscina da cui si approvvigionava d’acqua la popolazione.

Il finale verso il the caldo

Ormai coperto per metà di fango ( e forse, o probabilmente, non solo fango), più simile al Golem [mfn]Nel XVI secolo a Praga la comunità ebraica era vittima di continue violenze e soprusi di ogni genere, nonostante vi regnasse Rodolfo II, un sovrano illuminato e grande protettore di questa comunità, e, così, la leggenda racconta che, nel 1580, il rabbino Loew, proprio per difendere la sua gente, abbia plasmato un Golem, per la verità più di uno, che avrebbe ubbidito solo ai suoi ordini. Per quanto riguarda il creatore del Golem, anche in questo caso, non c’è alcuna prova certa che il rabbino più importante della storia della comunità ebraica di Praga, Loew appunto, sia stato un cultore dell’esoterismo e del misticismo e, quindi, colui al quale sarebbe possibile attribuirne la paternità. Di questa figura misteriosa, inoltre, se ne ha notizia, per la prima volta, nel 1841 sulle pagine della rivista “Panorama des Universums”, dove a parlarne era stato il giornalista Franz Klutschak, che, però, non ha mai smentito che il suo articolo fosse frutto di fantasie, ispirate da altre leggende di origini tedesche. Tornando, invece, alla tradizione praghese il Golem era stato creato nella soffitta della Sinagoga Vecchia – Nuova (Staronova). Qua il rabbino avrebbe plasmato i suoi Golem con il fango della Moldava, combinando i quattro elementi: fuoco e acqua, che erano rappresentati dagli assistenti di Loew, l’aria, rappresentata dal rabbino stesso, e la terra, costituita dalla terracotta. Per risvegliare le sue creature, che con il passare del tempo crescevano, il rabbino, sulle loro fronti, scriveva la parola “emet” (verità); mentre sulle fronti di quelli diventati troppo grandi e di cui non poteva più servirsi, scriveva la parola “met” (morto) e, così, se ne disfaceva. Sinagoga Vecchia Nuova Il Golem non aveva la capacità di parlare e, per essere tenuto a bada, Loew doveva inserire nella sua bocca una tavoletta di legno, che, sempre secondo la leggenda, conteneva la parola di Dio. In una occasione, però, il rabbi se ne era dimenticato ed, allora, il Golem, privo della parola di Dio, ha cominciato a distruggere tutto ciò che incontrava nel quartiere ebraico, diventando incontrollabile. Tutto ciò avveniva mentre Loew era nella sinagoga e stava intonando il Salmo 92 ed, allora, il rabbi era stato costretto a “spegnere” la vita di questo Golem, che è stato l’ultimo creato dal rabbino.[/mfn]comandato tra le strade di Praga dal rabbino Jehuda Löw che ad runner tra i boschi del varesotto, entro nella parte finale di gara. 

Vengo affiancato da Andrea Zaccheo, che non avevo riconosciuto prima, e continuiamo insieme la nostra gara parlottando. Il percorso come detto è ormai abbastanza facile, seppure con terreno pesante e diverse grosse pozze a farci da ulteriori ostacoli.

Secondo guado per riattraversare il Tenore all’undicesimo km e ormai inizia il conto alla rovescia interiore. Ci avviciniamo a una coppia di runner, è l’unico obbiettivo di questo fine gara è quello di provare a riprenderli.

Ultimo passaggio su asfalto, provo ad allungare, vedo più vicini i miei due obbiettivi. Ancora sterrato, di nuovo un po’ di asfalto in salita. Si entra nel giro di campo finale, riprendo uno dei due che mi precedevano ma non completo la doppietta di sorpassi.

Niente rammarico per lo sprint riuscito solo a metà, ma solo voglia di the caldo, vestiti asciutti e doccia bollente.

 

(Visited 126 times, 1 visits today)

Condividi