Rampigada Vertical – Salir dove danzava il diavolo

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La dolce estate dell’anno senza primavera ha portato con sé doni imprevisti, giochi all’aria aperta e passeggiate, risate matte e racconti.

Enrico Brizzi

Rampigada Vertical, San Domenico di Varzo, 22 Agosto 2020 – 33 sono gli anni che aveva Cristo alla sua morte, il numero abbinato nella smorfia appunto al Nazareno, inteso come Gesù e non come il patto del 2014. 33 è un numero altamente simbolico in diverse culture. I massoni, nel rito scozzese antico, indicano il più alto grado da raggiungere come il trentatreesimo.

Nei testi della religione ebraica il 33 indica gli anni che re Davide regnò su Gerusalemme. Per l’Islam, invece, i morti, in paradiso, avrebbero 33 anni.

33 è il numero delle regioni cinesi, dei caratteri dell’alfabeto cirillico, dei canti per ogni cantica della Divina Commedia di Dante.

33 è il numero di vertebre che compongono la nostra spina dorsale, che ci permette di essere “home erectus”.

33, è anche, semplicemente, un numero composto da due 3, il numero perfetto. 3 era anche il numero di balzi che San Giorgio fece col suo cavallo per salire da Varzo in aiuto dei pastori dell’Alpe Veglia passando per la cappella del Maulone e quella del Groppallo. Qualcuno asserisce che presso le due cappelle citate si possono notare le impronte degli zoccoli del cavallo del santo.

L’estate a cronometro dell’anno senza primavera

Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere; possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso. Ci sono altre forze che agiscono in questo mondo, Frodo, a parte la volontà del Male

E’ un anno strano questo, dove la primavera è stata saltata a piè pari a causa del lockdown per tuffarci direttamente in una torrida estate da vivere a volto coperto.

Rampigada Vertical pre-garaPer gli amanti della corsa significa aver dovuto rinunciare, tra le altre cose, a tutti gli obiettivi probabilmente più importanti a livello competitivo. Saltate le varie mezze maratone che le tabelle di allenamento indicavano come obiettivo stagionale per il PB. Saltate le 10km dove limare qualche secondo al proprio personale. Saltato il Giro del Varesotto e le sfide fratricide con gli amici “di strada”.

Da dove ricominciare, per muovere i primi passi in uno sport che fa dell’assembramento una delle proprie caratteristiche? Marathon village colmi di gente a ritirare il proprio kit gara, griglie di partenza con atleti accalcati, ristori post-gara in cui si beve e mangia a poche spanne gli uni dagli altri.

La soluzione è la montagna: gare a cronometro con partenze scaglionate e ampi spazi aperti. E quale montagna potevo scegliere, se non quella che mi ha adottato diversi anni fa per farmi passare degli inverni con la tavola ai piedi? Finalmente riesco ad andar a gareggiare sulle pendenze che salgono dal piccolo abitato di San Domenico.

Partenza in tarda mattinata col Bandyto alla volta del VCO per “acclimatarci” in altura grazie all’aiuto di qualche succo di luppolo. Il meteo propone una breve parentesi piovasca in attesa di un pomeriggio di gara da correre col bel tempo, ma quando in strada incrociamo la perturbazione iniziamo a temere che la consistenza dei rovesci non sia di buon auspicio. Il ci-Nico, già in paese da alcuni giorni, dalla Prota Mansion rincara la dose e tramite Whatsapp mi scrive di prepararmi a correre nel fango.

Fortunatamente, giunti a Varzo, Giove Pluvio mette da parte gli attrezzi del mestiere.

Il nome “Varzo” ha un’etimologia di origine celtica e deriva dal termine “vargo”, ossia “varco”, allargamento nella valle, denominazione che è andata poi mutandosi nel latino “Vartio-Vartium”.

Mentre iniziamo a salire verso Sando, Apollo col suo carretto, forse motivato dall’origine del nome del paese di valle, trova appunto un varco tra le nubi volute dal padre e trascina il sole a splendere sul nostro pomeriggio.

Dica #33

Presto, mastro elfo, gusterai la leggendaria ospitalità dei nani: grandi falò, birra di malto, carne stagionata con l’osso.

Rampigada Vertical start line33 dicevo, 33 come il numero di pettorale che mi riservano al banco al ritiro del pacco gara. 33 come i trentini che entrarono a Trento trotterellando. Oggi però sarà davvero difficile trovare un punto dove trotterellare, le pendenze sono costanti e proibitive.

Tra foto al paesaggio che avevo immortalato anche una settimana fa in una gita a ritmi ben più soft, pranzo non frugale, birrette e collezione di caffè, passiamo un po’ di tempo in attesa dell’esposizione dell’ordine di partenza chiacchierando col Nick e famiglia.

Alle 16.00 inizia lo start ufficiale. Ogni 30″ un iscritto andrà incontro al proprio destino. Io, facendo due conti, dovrei partire poco dopo le cinque meno un quarto. Guardo qualche partenza e poi mi avvio a un breve riscaldamento cercando qualche centinaio di metri in piano. Poi mi porto sul piazzale della nuova biglietteria in attesa del mio momento.

Scotch giallo sulla pavimentazione segna le posizioni da mantenere per il distanziamento sociale. Mascherina sul volto vedo partire uno ad uno coloro che mi precedono. Poi arriva il mio turno.

Giù la maschera

Trenta bianchi destrier su un colle rosso, battono e mordono ma nessun si è mosso.

Rampigada Vertical San Domenico di Varzo

Discesa dei gradini in stile grande evento di sport americano. Potrei immaginare Larry Bird che entra sul terreno di gioco del TD Garden con la maglia 33 dei Celtics o Scottie Pippen col 33 dei Bulls allo United Center.

La speranza è di non fare la fine di Stone Johnson, che dopo aver partecipato alle olimpiadi di Roma del ’60 correndo i 200 metri e la staffetta 4*100 firmo come Running Back per Kansas City nel ’63 ma morì prima di indossare ufficialmente la maglia 33 dei Chiefs a causa dei postumi di uno scontro di gioco in pre-season. Io forse farò più una figura alla Legrottaglie o alla Bernardeschi, ma con pensieri meno devoti.

Lo speaker chiama il mio nome e quando mi presento sotto al gonfiabile dice che di sicuro non temo il caldo se mi sono presentato in tenuta total black.

Giù la maschera, ora non si scherza più, c’è solo da soffrire. Giù la maschera anche materialmente, perchè svesto la mascherina e la infilo nella tasca dei pantaloncini. Un sorriso torna a metter in mostra i denti per la ripresa delle competizioni.

Da ora in avanti sarò solo contro i miei demoni, il distanziamento sociale sarà garantito dalle pendenze e dagli spazi che la montagna ci regalerà. Countdown. Si parte.

Dritti alla Casa Rossa

“Non ha voce e grida fa, non ha ali e volo fa, non ha denti e morsi dà, non ha bocca e versi fa.”

La prima rampetta che porta alla partenza della seggiovia fa già salire i battiti. Era sicuramente più rilassante percorrerla con la tavola sottobraccio nelle giornate d’inverno. Svolta a sinistra lungo la pista di rientro e arriva subito la sorpresa. Anzichè seguire tutta la gippabile che d’inverno ospita la pista, la si taglia dritto-per-dritto lungo la massima pendenza. I battiti schizzano.

Puntello ben bene i bastoncini che mi aiutano a venir su mentre i polpacci fanno già capire che non sarà cosa facile oggi arrivare fin sopra il Dosso.

Rampigada Vertical San Domenico di VarzoVedo gente partita dopo di me che mi riprende e mi passa in agilità. Di montagnini improvvisati oggi ce ne sono ben pochi. Al bip del Garmin per il primo km son già salito di 300 metri, sapore ferroso di sangue in gola e bocca aperta in cerca d’aria. Alzo la testa e 60 metri sopra di me c’è la Casa Rossa. Giunti li, il percorso di gara dovrebbe concedere una breve tregua per rifiatare.

La realtà dei fatti vede solo un corto tratto lungo la strada sterrata per poi rideviare nuovamente lungo i crinali. Uno strappo ripido, un nuovo attraversamento della strada e il paesaggio cambia. Montagna erbosa da percorrere col vento che inizia a soffiare deciso. Siamo a San Domenico o a Tasiilaq durante l’estate artica? La casa rossa lasciata alle nostra spalle non pareva quella tramutata in hotel da Robert Peroni.

Gli Inuit dicono che quando soffia la tempesta è perchè i demoni si sono risvegliati. Provo a ridestare il mio demone interiore che si sta assopendo sotto la fatica di giornata per cambiare un po’ ritmo alla mia “corsa”. Si approda al pianoro dell’Alpe Ciamporino.

Una baita in pietra funge da avamposto prima dell’accesso alla montagna più aspra. Sembra messa li dalla penna di Tolkien come ultimo punto di controllo prima delle vette. Timoroso di veder spuntare dalla porta Thorin Scudodiquercia, riesco a provare a trotterellare un po’ tra l’erba alta piegata dal vento. Subito però la strada sotto i piedi riprende pendenza con destinazione il Dosso.

Li dove osano le aquile … e le marmotte

“Radici invisibili ha, più in alto degli alberi sta, lassù tra le nuvole va e mai tuttavia crescerà.”

La vista inizia a riempirsi con la bellezza del paesaggio. Siamo a quota 2000 metri, cielo terso e aria rarefatta. Si sale lungo il crinale che costeggia il canalone che d’inverno percorriamo in cerca di salti e neve fresca. Questa è una zona che non ho mai visto, ne imbiancata nei mesi freddi, ne rinverdita d’estate.

Rampigada Vertical Massimo Bertina
Foto di Massimo Bertina

Oltre a cercar le energie per trascinarmi lungo il tratto più ripido della gara, butto un occhio al panorama. L’altro occhio lo butto alle alle buche scavate dalle marmotte per non finirci dentro con un piede e ritrovarmi a confezionare barrette di cioccolato Milka. Vedo in lontananza il Bandyto che sbuffa come una locomotiva e mi impongo di andarlo a prendere.

Cerco un appoggio col piede, schivo una pietra instabile con l’altro e giro attorno a un paio di cespugli pungenti.

Oltre alle buche delle marmotte ci sono delle vere e prorie grotte che si aprono nel terreno. Spero che non siano miniere scavate dai Nani troppo a fondo e con troppa avidità risvegliando ombra e fiamme nell’oscurità.

I fenomeni arrivano uno a uno, partiti in coda al gruppo ma con tutti i minuti che avevo di vantaggio già rosicchiati. Mi passa Rinaldi e sembra quasi non aver nemmeno il fiatone. Io invece stravedo come nemmeno Ganjalf nello Svarione degli anelli, quando lo guardavamo sul divano giù in paese con Pippo e i suoi soci di Clistere & Robotflow.

Riprendo il mio socio e ci concediamo un saluto “alla veneta”. Il tratto più ripido sta per terminare. Questo terzo km prevedeva 350 metri di dislivello da colmare. Alcuni spettatori sul percorso dicono che dopo lo “scollinamento” spiana un po’ e ci apparirà la Madonna. Gli rispondo che ho sentito qualche divinità fare la voce grossa già qualche centinaia di metri più sotto.

La seggiovia inizia a farsi più vicina dopo la sua deviazione intermedia verso il Sella. In lontananza ne vedo finalmente l’approdo che è anche il nostro punto di arrivo dove sventolano gli stendardi verticali della Salomon che segnano il traguardo. Fortunatamente siamo nell’Ossola e non nella Terra di Mezzo, altrimenti avrebbero posto degli orchi al posto dei bandieroni a segnalare la linea d’arrivo. 

Il Pizzo del Dosso svetta alla destra della finish line e il Pizzo Diei le fa da sfondo in lontananza. Volgendo lo sguardo a sinistra si riesce a vedere anche il Lago del Devero in fondo alla vallata. Certi spettacoli li sa regalare solo il paesaggio montano.

Il gran salone da ballo di Messer lo Diavolo

“Questa cosa ogni cosa divora, ciò che ha vita, la fauna e la flora; i re abbatte, e così le città, rode il ferro, la calce già dura; e dei monti pianure farà.”

san domenico varzo rampigada verticalOrmai il timer ha superato l’ora di gara. Visti i precedenti in un vertical contavo di stare abbondantemente sotto i 60 minuti, ma il Sasso del Ferro era nettamente meno duro da scalare. Tolkien direbbe che uno stregone non è mai in ritardo. Né in anticipo. Arriva precisamente quando intende farlo. Io che Mago lo sono solo di soprannome, e non di fatto, in realtà però non posso far mia la frase di Gandalf.

Novemila piccoli, brevi e affannosi passi mi hanno portato a quasi 2500 metri di quota. Quel che le cifre non narrano è la grammatica della sofferenza provata. Graminacee e piperacee che hanno preso il posto dei boschi di larici hanno quasi lasciato il passo a una sterile sassaiola. Ultimo sforzo, un tentativo di allungo e finalmente porto a termine la mia prova. 

A forza di gambe (e braccia), seguendo un filare di bandierine, abbiamo dimenticato per un giorno quei respiri pastosi celati dietro un tessuto impermeabile che difende noi e gli altri. Sarebbe interessante far provare a negazionisti e fenomeni da baraccone vari, cosa si prova a trascinarsi col fiato rotto e quel sapore metallico in gola tipico dei momenti di grosso sforzo fisico.

Rifiato, bevo e mi dedico a far qualche foto al paesaggio sfruttando ancora una bella luce. E’ ancora presto per il tramonto. E’ ancora presto per veder, al sibilo della Baiorda, roteare le streghe del Cistella su quell’altopiano arido, roccioso e battuto dal vento.

E’ ancora presto per veder salire capre e satiri sul Corno del Cistella per le danze su “il gran salone da ballo di Messer lo Diavolo… povero il malcapitato che al calar del sole avesse a trovarsi in quei luoghi”.

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