7 Colli Urban Trail di Tortona – Può piovere per sempre

7 colli urban trail 2019 tortona
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“Per più di dieci giorni, non rividero il sole. La terra diventò molle e umida, come cenere vulcanica, e la vegetazione fu sempre più insidiosa e si fecero sempre più lontani i trilli degli uccelli e lo schiamazzo delle scimmie, e il mondo diventò triste per sempre.”

Gabriel Garcia Marquez

Tortona, 1 Dicembre 2019 – Ormai sono giorni che il sole si nasconde dietro coltri di nubi lasciando spazio alla pioggia. E’ assenteista, nei cieli, quasi come la Giorgia nazionale sugli scranni del parlamento. Le bacheche di Facebook sono intasate dalla citazione di Erik il Corvo che dice a Sarah che “non può piovere per sempre”. Fortunatamente Erik non aveva Facebook, altrimenti invece di regalarci la sua frase clou, avrebbe citato sulla sua bacheca Gabriel Garcia Marquez che quasi mezzo secolo fa diceva “non può piovere per tutta la vita”. A sua volta ben venga che neanche Gabo avesse a sua disposizione il social di Zuckerberg, altrimenti anzichè regalarci Cent’anni di solitudine lo avrebbero probabilmente censurato perchè postare in bacheca foto di un individuo dal pene enorme sarebbe stato più sconveniente che narrarlo in un’opera letteraria.

Tra citazioni varie anche io decido di citare me stesso per un’altra domenica, e mi ripropongo per l’ennesima volta in pantaloncini corti sotto una pioggia battente. Destinazione 7 Colli Urban Trail in quel di Tortona.

Durante il tragitto, in autostrada, un grosso cartello ci segnala che stiamo passando sul 45° parallelo. Siamo a cinquemila chilometri dall’Orso Bianco e cinquemila dalle tribù delle foreste di Gabon e Congo. Decido quindi che correrò si in braghe corte, ma con i guanti, per non far torto a nessuno.

Pro tribus donis similis Terdona leonis

Nel Duomo di Tortona è conservata una scheggia della croce di Gesù Cristo. Secondo la tradizione sarebbe stata portata lì dai cavalieri Templari, che ne erano i custodi. Secondo una leggenda su un’altra reliquia legata ai Templari, il Graal, si dice che questo darebbe alla città che lo custodisce, tre doni: il corpo, il sangue e lo spirito. Da qui deriverebbe il motto cittadino: «Pro tribus donis similis Terdona leonis», cioè “in virtù dei tre doni Terdona è simile al leone” (Terdona è il vecchio nome della città), che indicherebbe la presenza del Graal all’interno della città.

Ispirato dalla leggenda, in virtù dei tre doni che ci attenderanno a fine gara (pacco gara, medaglia e ristoro), mi presento in prossimità della partenza dopo un breve riscaldamento. Quindi, leone o gazzella, anche se non siamo in Africa, anche stamattina mi toccherà correre.

1° Colle, il sacro Ronchetto

L’avvio di gara è cittadino e si percorre poco più di un km a ritmo sostenuto tra asfalto e sanpietrini. Dopo 1200 metri si arriva alla prima salita di giornata, una scalinata che ci porta nei pressi del convento dei frati Cappuccini. Varchiamo le soglie del cortile e tra pendii erbosi raggiungiamo la cima del Ronchetto fiancheggiando la statua che vi si erge.

In antichità qui vi era il tempio di Venere, sostituito nel IV secolo dal vescovo Sant’ Innocenzo nel monastero di Sant’Eufemia, per permettere alla sorella Innocenza di dedicarsi alla vita religiosa. L’edificio fu poi distrutto da federico Barbarossa.

Nel 1630-31, quando la peste colpì la cittadina di Tortona, i Cappuccini offrirono la loro assistenza agli appestati per tre lunghi anni; per questa ragione fu concesso loro un terreno salubre e soleggiato, posto sul colle, nel luogo dove esisteva l’antico monastero. Oggi non sembra così salubre, tra pioggia e freddo che attentano ai miei anticorpi e il terreno zuppo d’acqua.

Si scende fino a rivarcare le porte del convento incrociando la coda del gruppo che sta entrando ora ad affrontare la salita. Un po’ di asfalto per riprendere il ritmo e scalinate scivolose a rallentarlo. Si inizia poi col fango vero e proprio.

2° Colle, tra la nebbia del Savo

Una prima salita scivolosa ci porta nel Parco del Castello, puliamo le scarpe su un tratto di strada e poi, quando inizia il quarto km ecco la maggior asperità di giornata. Una salita da pendenze notevoli, con fondo scivolosissimo, da affrontare grazie all’aiuto delle corde per issarsi passo a passo. Qualcuno finisce faccia a terra perdendo aderenza. Io rimpiango di non aver messo le scarpe da trail. Il terreno sacro del convento è lontano, è anche i miei pensieri si fanno ben più profani. Grazie alla corda e a qualche albero e radice su cui puntar i piedi riesco a scollinare.

Il Savo è il colle più alto all’interno del territorio urbano di Tortona. Era antica sede del tempio di Giove e successivamente del castello di epoca romana.

Il punto più alto del secondo colle è proprio in prossimità della torre che oggi rimane a ricordare la settecentesca presenza della fortezza sabauda di San Vittorio, demolita per decisione di Napoleone Bonaparte nella primavera del 1801. La struttura ci appare in lontananza immersa nella nebbia, la teniamo alla nostra sinistra e scendiamo poi le scale che ci portano al di fuori del parco.

3° Colle, il Colombino

Dopo essere usciti dal parco del castello si entra nello stadio Fausto Coppi, lo stadio del Derthona (Dertona Julia era l’antico nome romano della città), squadra che ricordo esser presente ogni tanto nelle vecchie schedina del totocalcio e nelle cronache di 90° Minuto.

Si passa quindi dal terzo colle, il Colombino. Non è una vera e propria ascesa, ma un saliscendi, poiché si arriva dal Savo.

Siamo al km 4,2 e ora ci si butta in picchiata per 500 metri tra bitume e sterrato.

Poco prima che il Garmin bippi per segnalare il quinto km concluso, sulla nostra sinistra appare un piccolo caseggiato, un rudere agricolo, con una falce da fieno ben in mostra appoggiata al muro. I battiti sono alti per la salita che stiamo affrontando e veder la fida compagna della nera mietitrice non è di buono auspicio.

4° Colle : Buffio

Tengo l’occhio vigile per non veder spuntar tra la nebbia alla mia sinistra qualche nero cappuccio e mantengo il passo sull’ascesa che porta alla cima del quarto colle.

La salita del Buffio è ripida e rappresenta uno dei frangenti fisicamente più duri dell’Urban Trail. Alcuni reperti testimoniano che alla falde di questo monticello in epoca antica vi fosse un anfiteatro. Tengo il passo allegro, nella speranza di non esser parte di venationes[mfn]Le venationes erano una forma di divertimento negli anfiteatri romani che implicavano la caccia e l’uccisione di animali selvatici. Le bestie selvatiche ed esotiche venivano portate a Roma dai lontani confini dell’Impero romano e le venationes si svolgevano durante la mattina, prima del principale evento pomeridiano, i duelli gladiatori. [/mfn], visto che da queste parti anche i cinghiali vanno in bicicletta.

In corrispondenza del colmo della salita di Strada Valle Calderina si scollina, siamo al km 5,2. Un vecchietto ci incita dicendo che c’è una bel clima per correre di domenica mattina. Ottimista.

La strada spiana leggermente, poi ci fa affrontare una nuova breve cresta con relativa discesa fino alla provinciale. Svoltiamo alla rotonda e una signora in macchina sorpassa l’intera serie delle auto incolonnate che la precedono. Rischia lo strike di podisti e si prende i relativi insulti. Una ragazza del nostro gruppo fa notare che il passeggero si teneva il naso, e probabilmente andava all’ospedale. Faccio notare che forse una decina di vittime per un naso non è equo come scambio. Il gioco non vale la candela (nemmeno quella del naso).

5° Colle : il Calabrino è la Cima Coppi

La provinciale è una lunga salita con una pendenza massima del 9%. La percorro di buon passo, superando anche diversi avversari. Abbiamo abbandonato i confini di Tortona e ora siamo in frazione Vho. Abbandoniamo la provinciale, curva a destra e dopo poco arriviamo al quinto GPM di giornata, il colle Calabrino.

Siamo al punto più alto della gara, quella che al giro d’Italia verrebbe definita “Cima Coppi”, in onore dell’airone che nacque a 15 km da qui e proprio a Tortona morì nel 1960.

Un tempo su questo colle vi era il Tempio di Marte, il Dio romano della guerra nato da Giunone per partogenesi, grazie ad un fiore che permetteva il concepimento al solo tocco. Marte venne poi allevato da Priapo, il dio dal fallo esorbitante (dopo Garcia Marquez ci si mettono anche gli antichi romani a ribadire il concetto). Da qui si gode il panorama sui colli tortonesi. O meglio si godrebbe in una bella giornata di sole.

L’abitato di Vho è carino, un piccolo borgo con qualche strada ciottolata. Un tempo qui vi era il castello, circondato da un fossato che veniva attraversato grazie al ponte levatoio. Oggi il fossato è interrato, e noi ne percorriamo il tracciato in quella che per memoria storica è stata chiamata Via del Fosso.

Un secolo fa questa era una cittadina di mare. Più o meno. Infatti vi era il mare di Vho, uno stagno che raccoglieva le acque di scolo, un po’ malsano, ma amato dalla gente del posto. Oggi anzichè odore di palude si sente l’odore della legna arsa nei camini. Immagino il tepore di un divano con copertina e un libro invece di pioggia e freddo che ci stanno accompagnando. Accetterei forse anche Barbara d’Urso in tv in questo momento. Forse.

Tagliamo per il nucleo del vecchio castello. Un giudice di gara fa il check dei pettorali mentre affrontiamo una salitella di autobloccanti. Siamo all’incirca a metà gara.

6° Colle : dalle sabbie mobili all’ Eufemio

Usciamo dal dedalo di stradine e un bel tratto di asfalto riporta in alto il numero dei giri. Ora si corre forte, nonostante un bel tratto sia di leggera salita.

Alla nostra sinistra colline e vigneti si camuffano tra la foschia. Al km 8 e 200 metri ci fanno abbandonare la strada per entrare tra le vigne della Cantina Colombera, uno dei tratti più difficoltosi secondo il briefing pre-gara.

Così è. Si entra praticamente nelle sabbie mobili, e per un km e mezzo mi trovo impantanato tra i vigneti di Timorasso e Barbera. Qui un mesetto fa si è conclusa la vendemmia che porterà a riempirne parecchi di Graal col succo di queste uve.

La suola liscia delle mie scarpe da strada mi fa pattinare nel pantano. Mi consola il fatto che siamo tutti nella stessa barca. Anche se navighiamo in un mare di … palta.

Mi muovo impacciatissimo, camminando, mentre mi passa chiunque. Si fa zig-zag per cercare dei tratti erbosi dove il terreno è più compatto. Mi sento come il classico personaggio dei film di natale che si trova ad esordire sulla pista di pattinaggio sul ghiaccio al Rockefeller Center o a Central Park. Per lo meno non finisco culo a terra come invece capita a qualcuno davanti a me.

Dopo circa 1500 metri di lentezza estrema, lungo i quali perdo probabilmente una cinquantina di posizioni, si percorre un ultimo tratto in graditissimo asfalto per scollinare il sesto colle ripulendosi le scarpe.

7° Colle : Borio

7 colli urban trail 2019 tortonaUn po’ per recuperare parte delle posizioni perse, un po’ per rialzare la temperatura dopo il lentissimo tratto tra i vigneti, si torna a spingere.

Un bel tratto di discesa mi fa girare veloci le gambe e liberare le scarpe dagli etti di palta accumulata. Ma dopo poco la strada torna a salire.

Affrontiamo l’ultimo colle, il Borio, anticamente chiamato “Mog”, ovvero “abitazione” in lingua celtica. Qui vi era la più alta delle varie torri che sorgevano in città, quella degli Ansoni.

Si sale lungo una strada privata, perlopiù sassosa, dove rischio una caduta. Anche qui riesco a recuperare qualche posizione, per poi far un filotto nella fase di veloce discesa asfaltata che ci fa tornare, lungo alcuni tornanti, a “quota città”. In questo tratto troviamo anche il secondo controllo dei pettorali da parte dei giudici di gara.

Nonostante i km e le salite nelle gambe mi trovo a viaggiare ancora bene senza affanno. Mi guardo intorno nel cercare l’ultima preannunciata salita, la scalinata del Santuario, ma non vedo colline.

Una salita della Madonna

L’ultima fatica di giornata da quello che ho capito è una scalinata di 200 gradini circa che porta ad un santuario. Mi aspetto quindi una montagnola da superare grazie a gradoni in pietra, o qualcosa di simile, ma non vedo alture intorno, come già detto. Vedo però spuntare in piena città, una madonna dorata, sulla sommità di una torre.

Il decantato vertical nel Santuario della Madonna della Guardia è quindi una salita lungo i gradini di questa torre. Si affronta una prima stretta spirale di scalini in marmo sui quali si cerca più di non scivolare che di mantenere il ritmo. Circa a metà dell’ascesa, la scalinata di pietra diventa di ferro, una vera e proria chiocciola.

Il runner che mi precede giustamente spera che non inizino a suonar le campane, visto che stiamo girando proprio attorno ad esse prima di giungere sul pianerottolo esterno. Alla fine dei gradini il terzo check di giornata. Prima con penna, poi con pennarello, cercano di scarabocchiare un segno sul mio pettorale bagnato. Esco incolume dal tentativo dei giudici di rendermi un novello San Sebastiano con Uniposca a trafiggermi il costato in luogo delle frecce. Piccolo giro “panoramico” e si imbocca la seconda scala per la discesa, che gira in modo alternativo rispetto alla precedente.

Qualcuno scivola, masticando fra i denti una imprecazione. Meglio evitare di attirar qualche fulmine su questa torre. Io anche qui riesco a non perdere aderenza grazie ad un passo da Sora Lella e una volta uscito dalla torre torno a dare tutto fino al traguardo.

Ora è tutto in piano il percorso che ci porta al gonfiabile. Sento la voce dello speaker. Due curve e ecco che ci sono.

Foto di rito. Stop al Garmin. Medaglia al collo. Via al caldo del palazzetto a metter qualcosa di asciutto e pulito per poi passar all’abbondante ristoro in attesa dei soci.

Abbiamo messo alla prova il nostro corpo su sentieri e salite. Abbiamo temprato lo spirito sfidando condizioni climatiche avverse. Manca solo il terzo dono del Graal, il sangue, sotto forma di vino. Mi accontento di un succo.

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