GDV 2016 – Venegono

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gdv2016_venegono2“E allora?? Ancora tutti qui a fare i ragazzini invece di esser in camera vostra a dormire???”…

Un urlo squarciò il buio della serata. Era l’infermiera Stefania: un tempo, come già accennato, una di noi, giovani dalle gambe veloci. Oggi invece era il braccio destro isterico (pare per le eccessive dosi assunte di caffè, omaggio nei pacchi premio delle gare) di Madame Claude, la direttrice della clinica che ci ospitava. Un tempo la sua chioma biondo platino era l’incubo di ogni donna aspirante ad un podio, che in sua presenza si limitava ad essere ambito solo dalla seconda posizione in giù.

Venite con me, ci disse un individuo sbucato dalla notte che inizialmente scambiammo per il giardiniere Rodriguez. Era vestito in modo bizzarro, sulle spalle però, anzichè la tanica del ramato, uno strano insieme di luci e circuiti.

Ci fece nascondere dietro alcuni alberi e potemmo quindi rimandare il ritorno in camera.

Il Teo domandò cosa fosse quell’apparecchiatura e questo misterioso personaggio, ci disse di essere alla ricerca di un fantasma che si aggirava nel parco della clinica, il fantasma del Giulio Dorigo.

Ci raccontò di esserne alla ricerca dalla gara di Venegono, la new entry del GDV del 2016.

“Sapete – esordì – era una tappa velocissima, un percorso così rapido non si era mai visto al Varesotto, nemmeno in quel di Gallarate.

Si vociferava che Soffientini, la maglia rosa, nel riscaldamento in borghese, andò così forte da perdere addirittura i petali dagli shorts floreali per lo spostamento d’aria. La Ambrosetti, donna dai piedi rapidissimi, partita con la sua inconfondibile chioma riccia, arrivò più liscia della Raffaella Carrà!”

Venkman – così probabilmente si chiamava il nostro nuovo amico, o almeno così diceva la targhetta sul suo pettoWhatsApp-Image-20160610 – continuò dicendo che andarono tutti così veloci in quel di Venegono, che lo squalo del ticinese, il Giulio Dorigo, non venne avvistato mai giungere al traguardo in quella serata, forse per il troppo vantaggio di tutti, e da allora lui ne era alla ricerca.

Io ricordo di averlo visto circa a metà gara, quando dopo una partenza veloce sul lungo falsopiano di più di un km, ero in fase di massima spinta, lanciato dal successivo tratto di discesa seguito da lunghi tratti piani. Il GPS sembrava essere guasto tanto erano basse le medie di percorrenza. Non ero mai andato così forte e le gambe continuavano a spingere nonostante mi sentissi molto più fiacco rispetto alla precedente tappa di Somma Lombardo. Esitai solo nell’ultimo tratto, un po’ di saliva a grattare sulla gola secca come il deserto di Atacama, un colpo di tosse, e chi mi stava al fianco aveva guadagnato qualche metro di vantaggio facendomi mentalmente mollare un po’ il colpo.

Mi ricordo il rammarico nel vedere che la distanza era di poco inferiore ai 5 km e quindi non potevo vantare un nuovo personale sulla mia distanza preferita nonostante una media di 3’45″/km che per me erano un’utopia prima di quel giro del 2016.

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